"Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria.
Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele,
quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito...
perché la lettura è un’immortalità all’indietro."
Umberto Eco
Gaidano Matta
E D I Z I O N I
FRESCHI DI STAMPA
La ricerca delle radici della propria comunità, l’ambizione di conoscere meglio o di scoprire concittadini che furono illustri, la fiducia di poter valorizzare il territorio richiamando visitatori e attività legate alla storia e alla cultura hanno animato il Comune di Cambiano nel suo pluriennale progetto di studio e promozione degli artisti che vi nacquero o operarono fra Otto e Novecento. Tre ragazzi del paese allora frequentarono quasi negli stessi anni l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Solo uno divenne famoso: Giacomo Grosso. Gli altri due ebbero diversa fortuna: su di loro abbiamo voluto indagare, nonostante le difficoltà di programmare, studiare e costruire iniziative in questo anno complicato dalla pandemia. L’intento è stato farne apprezzare la bellezza delle opere e l’interesse delle figure, cercando di dare così un futuro alla loro memoria. Vissero in anni nei quali la musa parigina attraeva gli artisti e il Sud America richiamava lavoratori alla ricerca di affermazione o anche solo di una vita migliore. Le loro storie testimoniano quanto – si veda Vergnano – la scelta dell’emigrazione potesse risultare illusione ingrata e quanto saldi – si veda Mosso – si potessero mantenere i rapporti d’affetto e d’amicizia fra paesi e continenti lontani.
Dopo un secolo, siamo noi ora a voler riprendere questi rapporti per tessere con le istituzioni culturali e gli studiosi francesi e argentini, in nome dei due artisti e grazie a loro, un futuro di amicizia e di studi integrati.
Liliana Pittarello
Liliana Pittarello
Architetto, nata e laureata a Torino, dirigente del Ministero per i Beni Culturali e Paesaggistici, ha diretto il Museo Na-zionale di Castel Sant’Angelo a Roma, la soprintendenza ai beni architettonici della Liguria, la direzione regionale ai beni culturali della Liguria e poi quella del Piemonte. Progettista e DL di vari interventi di restauro, docente all’Università di Genova, da che è in quiescenza è membro del consiglio direttivo del TCI e del cda del Museo Mangini Bonomi di Milano. Curatrice e autrice di molti volumi e scritti, è oggi soprattutto impegnata in rapporti di studio con l’Argentina. Commen-datore della Repubblica.
Né reduci, né nostalgici, semplicemente testimoni e cronisti. Così i due autori ripercorrono fatti, protagonisti, ideali del 1968, sfogliando il settimanale Cronache chieresi, che rappresentò nella città una voce alternativa all’opinione dominante, anticipò e stimolò la svolta di quell’anno fatidico.Il libro riordina e racconta quel percorso - prima, durante e dopo il ’68 - suddiviso per aree tematiche: la Chiesa, la scuola, la famiglia, il costume, il tempo libero e la cultura, il lavoro e le fabbriche, la politica. Emergono quei semi, gettati fin dai primi anni ’60, germogliati nell’esperienza chierese negli anni ’70; si mettono in luce vittorie e sconfitte, progetti e illusioni, rivendicazioni ed errori di quella generazione - o meglio, di una sua minoranza - che voleva cambiare il mondo.Non è una storia solo locale, come spiega Giovanni De Luna nella sua prefazione: attraverso queste “cronache chieresi” emergono i valori che ebbero il maggior impatto nel ’68, “quelli dai quali partire per inserire compiutamente quel movimento in una delle più vistose trasformazioni attraversate dal nostro paese”. Il libro è perciò un esercizio di memoria non solo per chi c’era, ma soprattutto per chi non c’era, i giovani che vogliano oggi rinnovare, a modo loro, quei valori.
Luciano Genta (Chieri, 1951), dopo alcuni anni di insegnamento in un centro di formazione professionale e nei corsi per lavoratori studenti, ha lavorato dal 1978 al 2011 come giornalista a La Stampa, nella redazione del supplemento culturale Tuttolibri. Tra il 1975 e il 1985 come consigliere comunale di Chieri ha coordinato la commissione cultura e promosso il rinnovamento della Biblioteca. Ha collaborato come consulente culturale con l’architetto Franchini per il progetto della nuova sede della Biblioteca alla Tabasso nell’ambito di un futuro polo culturale.
Valerio Maggio (Chieri,1948) ha lavorato nella Sanità piemontese. Giornalista pubblicista nel decennio 1970 – 80, appassionato di storia, sport e tradizioni chieresi, cofondatore e redattore del settimanale Cronache Chieresi (1965 – 82), membro dell’ufficio stampa del Festival Internazionale I Giovani per i Giovani (Chieri 1972 – 75). Ha partecipato alle iniziative del Centro Culturale di Chieri per la messa in scena di spettacoli teatrali con lo Stabile di Torino (1976 – 80). Scrive per la rivista Centotorri. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Un raggio alla volta cento anni di ciclismo chierese (2004), Rombo di Tuono ottant’anni di motociclismo chierese (2006), Bòite e Botteghe commercianti e artigiani nella Chieri del Novecento (2010), Pittori chieresi negli anni ’50 (2011), La Grande Corsa, il rally chierese TEAM ‘971 (2011), Gent ëd Chér Cento ritratti di personaggi del nostro '900 (2015), Stranòt, narrazione e tradizione popolare del "sàut ën sël chèr" a Chieri dal secondo dopoguerra ad oggi (2013).
Filippo Bosso, manager a Shanghai dal 2010 al 2015, ha sviluppato, con la Cina e i cinesi, una combinazione di curiosità, ammirazione e rispetto, e li ha raccontati con la fotografa, rinata passione giovanile.“L’obbiettivo di Bosso – osserva Marco Guglielminotti Trivel, direttore del Museo d’Arte Orientale di Torino – sembra trovarsi a proprio agio nell’inquadrare ogni tipo di ambiente: ...Vi si sofferma con uno sguardo naturale, non pretenzioso, e ciò che ne scaturisce è uno scatto genuino, non artefatto, che punta all’essenza del soggetto ritratto”.“Lo sguardo di Bosso non è uno sguardo che giudica... – concorda l’artista cinese Chen Li – l’autore si è fatto piccolo tra i piccoli, perché voleva accogliere, studiare, apprezzare e condividere la cultura millenaria cinese. Il viaggio di Bosso inizia a Shanghai, il laboratorio del nuovo, la Cina che vede l’Occidente come modello e ne adotta gli stili di vita, poi il suo sguardo si inoltra nella Cina più tradizionale ed esotica: dai villaggi sull’acqua alla Montagna Gialla, dal quartiere musulmano di Xi’an al Xinjiang dove vive la minoranza uigura, fno al Qinghai, dove la presenza umana è rara e domina la natura spettacolare.
Dall'introduzione di Marco Guglielminotti Trivel:
L’obbiettivo di Filippo Bosso sembra trovarsi a proprio agio nell’inquadrare ogni tipo di ambiente: dai grattacieli ai deserti, dal quartiere degli affari di Shanghai al mercato del bestiame di Kashgar. Vi si sofferma con uno sguardo naturale, non pretenzioso, e ciò che ne scaturisce è uno scatto genuino, non artefatto, che punta all’essenza del soggetto ritratto... Filippo Bosso, vivendo a lungo in Cina, ha a mio avviso interiorizzato un influssoarcano di questa cultura ed è riuscito a fissarlosulla pellicola. Esso corrisponde al primo dei sei principi teorici espressi da Xie He 謝赫, un pittore attivo agli inizi del VI secolo, secondo cui un dipinto per essere considerato un’opera d’arte deve esprimere innanzitutto una sorta di “consonanza spirituale nel rendere la vitalità” 氣韻生動 del soggetto raffigurto. Se esiste un “dao 道 della fotografia”,Filippo ha già intrapreso i primi passi su quel sentiero.
Sapete cosa succede quando una Rolleiflex anni ‘60, qualche rullino di pellicola, una penna, dei fogli di carta di recupero e due vecchi amici si incontrano all’ex carcere “Le Nuove”. Inizia un “Viaggio dentro”, dentro lo spazio, il tempo, la propria coscienza di uomini liberi. Dentro i luoghi solo in apparenza vuoti e freddi. Sapendo ascoltare, si può sentire l’umanità di chi ha sacrificato se stesso per un grande sogno: un mondo libero. Immagini e parole invitano a riflettere, a cercare le origini della nostra società contemporanea con discrezione, sensibilità e rispetto degli eventi.
Dall'introduzione di Marcello Maddalena:
È davvero singolare e affascinante il “viaggio” in cui gli autori di questo libro, Giovanni Varetto e Calogero Modica, intendono accompagnare il lettore attraverso il Museo del Carcere “Le Nuove” di Torino. Perché è un accompagnamento fatto non tanto di illustrazioni e spiegazioni, a parole, di luoghi e di storie personali, ma di vedute (fotografiche) e di pensieri suscitati, come spiega Giovanni Varetto nell'illustrare “il progetto” del libro, da “sensazioni forti” provate visitando quei luoghi, quei muri, quelle torrette, quei camminamenti, quelle celle, quei cunicoli, in cui sono passate tante persone ma in cui in particolare sono stati ristretti, dall’8 settembre del 1943 fino alla liberazione, tanti uomini di diversa cultura, di diversa estrazione sociale, di diversa identità politica, di diversa fede religiosa, credenti e non credenti ma accomunati da una stessa ansia di libertà, da uno stesso amore per una vita degna di essere vissuta e da uno stesso rispetto per la dignità della persona umana. E che per questo hanno lottato e combattuto fino ad affrontare l’arresto, la condanna, la morte per fucilazione o impiccagione (11 impiccati, 271 fucilati in quel periodo)....Resta, al termine di un viaggio che suscita brividi di sgomento e commozione, l’insegnamento dei morti, che, come scriveva in un suo romanzo sulla resistenza Elio Vittorini, sono coloro da cui si può imparare. Che cosa? “Quello per cui sono morti, perché ognuno di noi fosse libero”.